I FRATI CAPPUCCINI A CAMPI SALENTINA: GLI UOMINI, GLI EVENTI

di Rosanna Savoia

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La prima soppressione degli ordini religiosi.

CAMPI SALENTINA: CONVENTO DEI CAPPUCCINI, CHIOSTRO

Il movimento di anticurialismo, che si era sviluppato fin dagli inizi del secolo, esplose per tutte le province del regno, in maniera lacerante, agli inizi dell’800 durante il decennio francese.
Negli anni 1806-1815 i francesi avviarono l’ambizioso progetto di ristrutturare il Regno di Napoli, da loro occupato, sul modello di quello francese e degli stati più evoluti della vecchia Europa. Così Giuseppe Bonaparte, prima, e Gioacchino Murat, dopo, cercarono di trovare in tempi rapidi una soluzione per sanare il gravissimo dissesto finanziario lasciato dai Borbone. La via più breve apparve subito quella della confisca del patrimonio monastico. Questa prassi trovava un solido supporto nel convincimento che i beni della Chiesa erano beni pubblici e quindi potevano essere utilizzati per il bene comune.
Già nel maggio del 1806 il ministro del Culto, Luigi Serra di Cassano, chiese agli ordinari del regno di indicare il numero e l’ubicazione dei conventi, il numero dei sacerdoti e laici e le loro rendite, intendendo, evidentemente, quantificare il gettito dell’«operazione soppressione» per valutarne la convenienza; il 9 giugno fu vietata la vestizione di nuovi aspiranti e l’ammissione di novizi alla professione monastica, senza il nulla osta regio.
Il 23 luglio il guardiano del convento di Campi, Carlo Maria da Vanze, su richiesta del vescovo di Lecce, dichiarava la composizione della comunità, «dieci individui, cioè di tre sacerdoti, padre guardiano il primo, padre vicario il secondo e fra Francesco da Squinzano il terzo, e sette laici professi», e ... i beni che non possedeva.

Con il decreto del 14 agosto 1806 si proibì a ciascun Ordine di avere più conventi nella stessa città e si chiusero i conventi che non ospitavano un minimo di dodici religiosi professi, sottolineando la necessità del provvedimento divenuto improrogabile perché, in seguito alle soppressioni avvenute negli altri stati italiani, era divenuto «eccessivo il numero di regolari che vivevano a carico delle popolazioni» e poi perché «la miseria delle parrocchie e lo scarso numero dei parrochi e il bisogno pesantissimo della pubblica istruzione (...) esiggono edifici, fondi ed individui, cui non si può altrimenti supplire che con la soppressione di una parte delle case religiose del Regno».
In realtà il «progetto soppressione» non riguardò solo

Deliberazione del   Decurionato di Campi, 30 maggio 1822 

«una parte delle case», ma tutte le case religiose. Per uno Stato moderno servivano «edifici, fondi ed individui», un trinomio che solo il clero regolare poteva soddisfare: abbandonando i conventi, cedendo i beni mobili e immobili, secolarizzando i frati.  La legge n° 36 promulgata da Giuseppe Napoleone il 13 febbraio 1807 soppresse gli Ordini religiosi delle regole di S. Bernardo e S. Benedetto e le loro diverse affiliazioni. Così recitava il testo della legge per giustificare i provvedimenti adottati:
«La forza delle cose obbliga ogni nazione a seguire più o meno lentamente il movimento impresso dallo spirito di ciascun secolo. Gli Ordini religiosi, i quali han resi tanti servigi nei tempi di barbarie, son divenuti meno utili per effetto del successo medesimo delle loro istituzioni: la nostra santa Religione, ormai gloriosa, e trionfante, non è più ridotta a sfuggir la persecuzione nelle oscurità dei chiostri; gli altari sono eretti anche nell’interno delle famiglie: il clero secolare corrisponde alla nostra fiducia ed a quella dei nostri popoli. L’amore delle arti, e delle scienze (...) han forzato tutti i Governi d’Europa a rivolgere verso questi oggetti Importanti (...) i mezzi delle loro nazioni; il mantenimento  di forze considerabili di terra, e di mare porta la prima necessità di gran riforme in altre parti della economia generale dello stato: il primo dovere dei popoli, e dei Principi è di porsi in stato di difendersi contra le aggressioni dei loro nemici».
Appena due anni dopo, il 7 agosto 1809, con il decreto n. 448 di Gioacchino Napoleone, la soppressione fu estesa agli altri Ordini religiosi possidenti.                 
Sopravvissero a tali leggi soltanto  gli Ordini religiosi mendicanti, a carico dei quali, però, vennero applicati diversi ordini di concentramento, di modo che i beni di diversi conventi e monasteri restarono ugualmente a disposizione del Demanio dello Stato. Nel 1811 il ministro Ricciardi trasmise la lista dei conventi nullatenenti che andavano soppressi. In Puglia vennero chiusi, tra gli altri, i conventi cappuccini di Altamura, Gravina, Barletta, Bari, Bisceglie, Monopoli, Rutigliano, Andria, Acquaviva, Conversano, Lavello, Montepeloso Venosa, Ruvo, Spinazzola della Provincia di Bari; Casarano, Galatina, Tricase, Diso, Otranto, Galatone, Nardò, Gallipoli, Francavilla, Ostuni, Taranto, Martina, Massafra, Ginosa, Lecce e quello di S. Elia della Provincia di Otranto.

 

Dopo il ritorno dei Borbone e il concordato del 1818 stipulato da Pio VII, che nell’articolo 14 stabiliva di riaprire le case religiose «in quel maggior numero, che sia compatibile coi mezzi di dotazione e specialmente le case di quegli Istituti che sono addette alla Istruzione della gioventù nella religione e nelle lettere, alla cura degli infermi e alla predicazione», parecchi di questi conventi furono riaperti, ad eccezione di quelli di Ginosa, Rugge, S. Elia, nel contado di Trepuzzi, Otranto, Venosa, Lavello, Montepeloso e quello della Madonna dell’Alto di Lecce, in sostituzione del quale il governo concesse il convento degli olivetani, vicino al cimitero.
Nella Provincia di Otranto il numero dei cappuccini passò da 610 del 1755 a 353 nel 1830, per risalire nel 1842 a 465.
I cappuccini di Campi, rimasti esclusi dalla soppressione, continuarono a ricevere dall’Università l’«elemosina annua» ed altri aiuti.
Ma i tempi erano comunque mutati. Con il ritorno dei monarchi borbonici a Napoli, si era instaurato un regime di restaurazione politica e sociale che voleva far dimenticare la rivoluzione “repressa”: alcuni cappuccini non lo accettarono di buon grado, almeno nei primi anni e alcuni di loro aderirono alle società segrete che prepararono i moti del ‘20-‘21, fino alla rivoluzione del 1848.

Convento dei cappuccini, scala segreta

I controlli da parte delle istituzioni preposte si fecero stringenti: era necessario «attingere – scriveva in una nota del 19 maggio 1836 il ministro della Polizia generale all’intendente di Terra d’Otranto – le più circospette, imparziali e precise informazioni sulla condotta (...) dei frati cappuccini e antoniani», che da qualche tempo tenevano una condotta non adeguata
alla loro condizione.
Anche il convento dei cappuccini di Campi, che in quegli anni ospitava uno studentato, era stato sospettato di essere un luogo in cui si tenevano riunioni segrete.
Il 2 maggio 1826 si era presentato al regio giudice ed ufficiale della Polizia giudiziaria del Circondario di Gagliano, Francesco Cantoro, tale Liborio Desalvo di Pato, il quale dichiarò  di aver saputo che nella notte tra il 19 e il 20 dicembre  
dell’anno precedente, nel convento di Campi si era tenuta una riunione settaria.
Il regio giudice e ufficiale di polizia di Campi, Gaetano Personè, convocò allora il portinaio del convento, fra Francesco di Corigliano, il quale dichiarò che nella
 «sera precisatali non avvenne unione alcuna, solamente ricordarsi che siccome in quell’epoca loro facevano quaresima così soleano praticare delle ricreazioni nei giorni di domenica, quali si eseguivano nelle rispettive celle de’ Padri, e comechè la sera del 18 dicembre era in dovere farla a sue spese il cuoco del convento, così questo accomodò una piccola tavola dentro della cucina ove vi intervennero i padri, don Pietro Occhineri di Campi che dimorava nel convento, e se mal non ricordavasi un giovane di San Pier Vernotico nominato Pasquale Melli, quale anche dimorava nel convento a causa di studio; ricreazione che cominciò verso un’ora e mezzo di notte ed ebbe il suo termine alle due».
 

La versione fornita dal frate fu evidentemente giudicata veritiera se il 27 giugno l’ufficiale di polizia scrisse all’intendente della Provincia che riteneva di non dover protrarre oltre le investigazioni sul motivo della riunione.
Il controllo a cui erano sottoposti i frati di Campi, come tutti i frati della Provincia, continuò negli anni tanto che nel 1853 il frate Sebastiano da Veglie «di stanza nel convento di Campi» fu convocato dalla polizia e sottoposto a interrogatorio perché nella sua cella erano state trovate «carte criminose».

Decreto di Eugenio di Savoia, 17 febbraio 1861 (Archivio di Stato di Brindisi)

 

In questa prima metà dell’800, i frati dovettero affrontare anche altre situazioni poco piacevoli: nel 1834 un principio di conflitto in materia di esequie funebri tra il Capitolo, i cappuccini e le confraternite di Campi venne denunciato da alcuni notabili della comunità; nell’estate del 1837 la comunità campiota fu investita da un’epidemia di colera e, essendo insufficienti le tombe della chiesa matrice a contenere i cadaveri, si ricorse alla loro chiesa e a quella di S. Francesco della Conza.
Ma tutto questo era ben poca cosa rispetto al terremoto che li avrebbe travolti pochi anni dopo!

La seconda soppressione degli ordini religiosi. La chiusura del convento di Campi Salentina.

Quando l’antico regno meridionale fu occupato dalle truppe garibaldine e dall’esercito piemontese e le sue regioni vennero a far parte del regno di Vittorio Emanuele II, i cappuccini di Campi non sfuggirono alla soppressione.
L’unità d’Italia decretò, infatti, la definitiva soppressione di tutti gli ordini religiosi.

Tra i più urgenti compiti del Governo dopo l’unificazione vi era quello, come sempre, di rafforzare le finanze e poiché il reddito nazionale non era tale da permettere un prelievo fiscale sufficiente ai bisogni del nuovo Stato ed il bilancio statale era in deficit, si ricorse anche, ancora una volta, all’espropriazione e successiva vendita dei beni ecclesiastici. Fu così emanato il 17 febbraio 1861 da Eugenio di Savoia, luogotenente generale del re nelle Province napoletane, un decreto che sanciva la soppressione delle comunità ed ordini religiosi che erano rimasti esclusi dalla prima soppressione, e l’incameramento e la gestione dei loro beni mediante l’istituzione di una Cassa ecclesiastica.
«Le ragioni di questa soppressione erano più radicali di quelle della precedente: si trattava della laicizzazione della società in linea con il convincimento che le istituzioni ecclesiastiche dovevano essere “liberate” dallo stato privilegiato che avevano goduto durante l’antico regime di cristianità e le associazioni esistenti nel territorio nazionale dovevano fondare il loro diritto di essere in base alla legge dello Stato nazionale che ne riconosceva la pubblica utilità. In fondo a tale politica vi era la considerazione della irrilevanza sociale delle esperienze religiose, essendo l’atteggiamento religioso un “affare privato” e le confessioni religiose avevano, in linea di principio, uguale spazio nella società, ordinata dallo Stato moderno». Cacciati dai loro conventi, che divennero carceri, lazzaretti, case per i senza fissa dimora, ospedali, ricoveri per anziani, i frati si riunirono dove potevano o presso istituti pubblici di beneficenza, o presso le chiese in cui officiavano da cappellani.
La chiesa di Maria Vergine del Carmelo rimase aperta al culto, come anche quella degli scolopi; il sindaco Michele Maddalo, infatti, così scriveva al prefetto nell’ottobre del 1866: «… né l’una né l’altra chiesa (...) hanno cura d’anime, ma però sono officiate ed entrambe meritano restare aperte al pubblico perché lontane dalla parrocchiale chiesa e quindi di immenso comodo agli abitanti vicini ad esse per ascoltar la messa, per la confessione e per gli altri divini uffici ».
La chiesa venne affidata al «guardiano con un laico a sua scelta»; si trattava di p. Francesco Antonio da Tuglie, guardiano dal 1856, e di fra Vincenzo da Grottaglie, rimasti nel convento.
Il convento, invece, insieme con quello degli scolopi, fu consegnato il 24 settembre 1867 dall’Amministrazione del fondo per il culto al Comune di Campi, rappresentato dal sindaco Francesco Prato, con lo scopo di istituirvi un ospedale e un asilo infantile.
Come accadde per tutte le biblioteche conventuali, anche i libri dei cappuccini e degli scolopi di Campi, «quantunque pochi», furono consegnati nel 1869 al sindaco, Francesco Prato, e andarono a costituire il primo nucleo della biblioteca comunale, affidata al primo bibliotecario, Giuseppe Robertone; purtroppo, nei conventi «non si rinvennero carte da passarsi all’Archivio provinciale».
Gli effetti della soppressione furono devastanti. Nella Provincia di Bari nel 1867 erano fuori da 26 conventi cappuccini 170 sacerdoti e 115 religiosi laici e nella Provincia di Otranto erano fuori dai 25 conventi 161 sacerdoti e 64 laici. In una lettera scritta nel 1873 da p. Vito Maria da Rutigliano leggiamo tutta la tristezza di quei momenti: « ... e noi volgendo gli occhi alle nostre terre desolate e doloranti, agli splendidi e poverini nostri abituri, alla nostra armonica frateria, non possiamo non piangere sulla nostra sventura».
I superiori provinciali continuarono il loro governo e cercarono di stimolare i frati ad osservare la Regola nei limiti del possibile, a non isolarsi completamente ed a segnalare la propria presenza: «Questi frati continuarono ad essere testimoni di una vita consacrata perseguitata ma non offuscata e furono di esempio alle nuove vocazioni».

La chiesa e il convento dopo la soppressione

La chiesa fu retta in questi anni turbolenti da p. Francesco Antonio da Tuglie, ma nell’aprile del 1883 il frate, travolto da ingiuste accuse di appropriazione indebita, da cui fu poi assolto, consegnò gli oggetti sacri a don Vincenzo Del Prete, incaricato provvisorio della custodia della chiesa, che venne poi affidata per pochi mesi a p. Damiano da Grottaglie, e dal 1884 a p. Mariano da Lecce.
Il convento, invece, venne destinato a vari usi: con una deliberazione del 27 aprile 1872, riconfermata successivamente l’8 novembre 1875, il Comune decideva di installarvi l’ospedale civico e il 25 ottobre 1878 deliberava di adibire provvisoriamente ad uso di carcere giudiziario due celle poste al piano superiore.

Convento dei cappuccini, scala principale

Approvato l’impianto del nuovo ospedale da parte della Deputazione provinciale il 28 aprile 1880, il 22 febbraio 1884 il Consiglio comunale decise di stipulare con la Congregazione di Carità una convenzione, che ebbe poi completa attuazione solo nel 1886, in base alla quale il Municipio cedeva per 10 anni i locali in cui era sistemato l’asilo infantile e i «tre giardinetti degli agrumi», necessari «per la passeggiata dei convalescenti», in cambio del piano superiore del palazzo Grasso – De Matteis per la sistemazione delle scuole femminili e tutti i locali del vecchio ospedale per adibirli ad asilo d’infanzia. Il Comune e la Congregazione di Carità firmarono con la madre superiora delle Figlie di Sant’Anna un contratto in forza del quale venivano messe a disposizione tre suore per l’ospedale e altre tre per l’asilo.
Nell’ottobre del 1885 il commissario e visitatore generale dell’Ordine dei cappuccini, p. Salvatore da Gioia del Colle, chiese al Municipio di Campi la cessione dei locali liberi del convento «all’uso di fare ivi convivere in associazione alcuni de’ Padri del detto Ordine». Il consiglio comunale, tenendo conto che nel convento erano rimasti alcuni locali superiori vuoti ed inutilizzati dall’ospedale, che era stato sistemato nei locali inferiori, e dall’asilo infantile, che 
era stato spostato in una zona più centrale del paese, e «considerando che un’associazione di simil fatta niun nocumento arreca al paese, ma che anzi giova al lustro e alla morale dello stesso», approvò la cessione dei locali superiori. La deliberazione, però, venne annullata dal prefetto di Terra d’Otranto con decreto del 19 dicembre 1885, perché «i locali che oggi sono superiori ai bisogni del doppio sodalizio potranno in seguito essere necessari ed opportuni, né in ogni caso possono i Comuni che ebbero la concessione allontanarsi dall’uso pel quale il convento fu concesso senza violare una tassativa disposizione di legge ed incorrere nella perdita del beneficio ricevuto». Nel comunicare tale decisione a p. Salvatore da Gioia del Colle, il sindaco, Giuseppe Magi, scriveva: «Da parte mia però le prometto che se V. S. vorrà qui mandare alcuni suoi confratelli cappuccini per coadiuvare l’attuale Direttore della propria chiesa, io per il tempo che starò in carica penserò ad
alloggiarli convenientemente sullo
stesso convento».
Il 13 febbraio 1896, allo scadere del periodo previsto, la Congregazione di Carità deliberava di proporre al Comune una nuova convenzione, che contemplava la cessione di tutto il convento, compresi i locali utilizzati per il carcere, per potervi sistemare anche un ospizio di mendicità per i poveri del paese, da affidare anche questo, come l’ospedale, alle suore di S. Anna; in cambio la Congregazione si sarebbe impegnata a contribuire alla costruzione del carcere, nei giardini posti a mezzogiorno sulla via per Novoli, «con una somma adeguata alle proprie rendite».
Il 27 maggio il Comune decideva di sospendere ogni provvedimento per due anni, il tempo necessario per redigere il progetto per il nuovo carcere e per valutare economicamente la proposta. In realtà le trattative in tal senso non furono più riprese, mentre la vecchia convenzione veniva tacitamente rinnovata per il terzo decennio.
In quegli stessi anni, i frati, che non si erano mai allontanati da Campi ed erano rimasti in alcuni locali del convento per il culto della chiesa e come cappellani dell’ospedale e delle carceri e che non avevano mai perso la speranza di tornare proprietari del convento, si attivavano per riacquistarlo.
Grazie alla loro opera era rimasto vivo nei campioti l’ideale francescano anche negli anni bui della soppressione: il Terz’Ordine, fondato nel 1872 da p. Francesco Antonio da Tuglie, doveva essere una presenza viva se nella santa visita compiuta nel maggio del 1885 il vescovo Salvatore Luigi Zola ritenne di dover rivolgere «un paterno discorso ai Terziari di S. Francesco sul fine del Terz’Ordine e sui mezzi per giovarsene a salute».
E fu proprio grazie all’interessamento del Terz’Ordine, all’opera dei frati, tra cui Giambattista da Mesagne, rettore della chiesa dal 1891 e all’amore dei campioti che il 5 aprile 1907 6 aprile 1906 con atto rogato dal notaio Calabrese, durante il commissariato di p. Gerardo da Francavilla, il Comune vendette il convento ai sacerdoti cappuccini Giuseppe Cavallo,  Domenico Carbonara,  e Nicola Andriulli..
I frati, però, rimasero proprietari del convento per appena due anni perché quando il Comune intimò alla Congregazione di Carità di lasciare liberi i locali entro il 5 aprile del 1909 in quanto doveva consegnarli ai nuovi acquirenti, questa si oppose e nella riunione dell’8 gennaio 1909 valutò la possibilità di un ricorso contro tale decisione che contrastava le disposizioni legislative in base alle quali il convento era stato concesso al Comune con il solo scopo di istallarvi un ospedale o una scuola.
Fu evidentemente per questi motivi che il 4 marzo 1909, con atto rogato dal notaio Salvatore Pompilio Manisco di Francavilla, i cappuccini furono costretti a vendere il convento appena acquistato alla Congregazione di Carità, che si accollò l’onere di permettere il pubblico culto nella chiesa.
Questa, con gli arredi e le vesti sacri, il 30 aprile fu data in consegna al ministro e ai discreti pro-tempore del Terz’Ordine «con l’obbligo (...) di tenere pulita la chiesa ed aperta al culto pubblico tutto il giorno nei dì festivi...»; le chiavi della chiesa, in doppio, furono consegnate, una alle suore addette all’ospedale e l’altra al ministro del Terz’Ordine.
Nel 1911 il convento, costato alla Congregazione £ 11.700, fu sottoposto a diversi lavori di adattamento, progettati dall’ing. Meglia, e divenne sede, oltre che dell’ospedale, anche dell’asilo di mendicità, così come espressamente richiesto nel testamento di Saveria Bari.
Nel maggio del 1913 p. Zaccaria da Triggiano, giunto a Campi per dirimere una controversia interna al Terz’Ordine, così scriveva al padre provinciale, fr. Eugenio da Senigallia,:
«Ho dormito in casa del Sig. Arciprete, ma per l’avvenire starò in Convento. (...) il Convento ha subito una trasformazione pressoché totale, e sarà ancora trasformato. Un piccolo dormitorio rimarrà intatto, perché il Sig. Presidente non diffida che i Cappuccini non abbiano a compiacere e lui e la popolazione, che desiderano almeno qualche Padre e qualche fratello laico: così nel tempo che adempiranno l’ufficio di Cappellano il popolo avrà sotto gli occhi l’abito di S. Francesco. Speriamo, ho risposto».
I cappuccini, dunque, continuavano ad abitare nel convento, anche se in un «piccolo dormitorio» e, certamente, ancora una volta, non avevano perso la speranza di poterlo riacquistare.

Il riacquisto del convento: una vicenda dolorosa e difficile

Il 10 giugno del 1919 la Congregazione di carità, presidente Alfredo Leccisi, stabilì di vendere il convento
«... richiesto da p. Lorenzo Carbonara  ed altri che intendono acquistare tutto il piano superiore (...) insieme alla parte antica del pianterreno e ad una porzione del giardino che lo circuisce limitato fino al cancello esistente sul nuovo muro di cinta (...) considerato che le entusiastiche illusioni createsi da quest’amministrazione con l’acquisto del convento svanirono ben presto quando si vide che quello stabile nato per asilo di religiosi, con le sue piccole celle, coi suoi corridoi angusti, non era adattabile ad altro uso (...) considerato che se prima della guerra il piano superiore del convento in parola trovavasi in assai misere condizioni, ora dopo l’uso che ne hanno fatto i militari in seguito alla requisizione è proprio ridotto in condizioni deplorevolissime poiché oltre alla completa distruzione dei vetri e di quasi tutti gli infissi, perfino i pavimenti sono stati rotti e screpolati ...».


Chiesa dei Cappuccini. Particolare del presbiteri: Madonna del Carmelo


Il vescovo di Lecce, Gennaro Trama, il 14 giugno, espresse il suo «pieno gradimento perché la comunità dei Padri Cappuccini riaprisse la sua casa di Campi Salentina» nella speranza che i padri che si sarebbero mandati avrebbero potuto «fare molto bene spirituale all’antico Terz’Ordine ivi istituito e al rimanente dei fedeli».
Avendo il provinciale, p. Zaccaria da Triggiano, chiesto l’auto­riz­za­zio­ne al ministro generale, Vincenzo de Lisle - en - Rigault, per l’accettazione del convento di Campi, dove «i nostri alunni» avrebbero potutofrequentare il ginnasio degli Scolopi, il 29 ottobre dello stesso anno p. Tobia da Triggiano, superiore neo
 eletto del convento, insieme con p. Cristofaro da Triggiano, grazie anche all’interessamento di don Antonio Chirizzi, sacerdote amico dei cappuccini e membro della Congregazione di Carità, stipulò con questa, rappresentata dal presidente, avvocato Alfredo Leccisi, un contratto di enfiteusi perpetua in base al quale la Congregazione di Carità concesse «l’intero piano superiore e la parte antica del pian terreno circoscritta dai corridoi che circondano l’atrio interno ove trovasi la cisterna, meno la stanza operatoria, l’attuale refettorio dei ricoverati e la cucina col sottoscale, nonché il giardino fino al cancello di ferro incluso», in cambio di un canone annuo perpetuo di £ 1.000.
Fu così che i cappuccini riuscirono finalmente a riappropriarsi di una parte del convento dove volevano sistemare il ginnasio superiore, «perché - come scriveva il provinciale, p. Zaccaria da Triggiano,  in una lettera programmatica del 24 dicembre 1919 - scuola e apostolato sono i poli su cui poggia il benessere della Provincia».
I frati occuparono subito il convento e l’8 maggio 1920 p. Tobia da Triggiano  comunicò al padre provinciale , di aver preso possesso anche «dei due grandi locali in cui abitavano i ricoverati», che restava da prendere l’abitazione delle suore, che procedevano i lavori di ristrutturazione delle celle, che si era acquistato il legname per il coro e che si sarebbe potuto restaurare anche il mobilio grazie all’aiuto economico ricevuto dall’arciprete di Surano, don Giacomo Galati..
Il 12 dicembre dello stesso anno il convento, «nulla di fastoso, di superbo, di grande, che non si addice all’umile, povero e sublime Santo d’Assisi», come lo descriveva p. Salvatore da Valenzano ,venne inaugurato alla presenza del padre provinciale, del vescovo, Gennaro Trama, del sindaco, Vincenzo Spagnolo, dell’arciprete Leone Greco, del consigliere provinciale Angelo Guido , di don Antonio Chirizzi, del dott. Carlo Maggi, presidente della Congregazione di carità, e di molti altri. Il vescovo presentò
«al popolo la novella comunità, i nuovi frati, ultimi arrivati a coltivare il campo spirituale di questa chiesa, i figli imperituri di S. Francesco che furono e saranno sempre il sostegno del Vangelo e aiuto prezioso dell’autorità civile ed ecclesiastica. Il popolo nell’intimo senso della fede, che profonda ha radicato nell’animo, ne comprende il significato e tacito accoglie dalle mani del vescovo coloro che saranno i propagatori della verità, gli angeli del conforto e gli artefici della pace nelle famiglie e nella società».



Chiesa dei cappuccini, interno

L’edificio, ridotto in pessime condizioni per aver ospitato prima i detenuti e poi i soldati per tutto il tempo della guerra, grazie all’aiuto dei benefattori, che concorsero con «50 o 60 mila lire di elemosina», si era ormai trasformato in una degna residenza del Seminario Serafico, e ospitava già i primi alunni, che avrebbero frequentato il ginnasio degli Scolopi. I frati si adoperarono subito per estinguere il debito contratto con la Congregazione di Carità. Nel 1923 il vescovo convocò l’arciprete e la famiglia Maddalo di Campi affinché li aiutassero con una sottoscrizione per evitare che si rivolgessero «ad altri fuori di Campi, con disonore dei Campioti …». Si formò, così, una «Commissione di nobili e facoltose persone della città per riunire la somma» necessaria, ma solo nel 1929, grazie a una elargizione di £ 20.000 fatta il 13 luglio 1928 dal benefattore Angelo Guido, in cambio della celebrazione annuale di «sette funerali in perpetuo», essi poterono affrancare il canone enfiteutico: il 17 gennaio 1929, nello studio del notaio Camillo Pagliara, il padre cappuccino Lorenzo da Valenzano, al secolo
Vito Antonio Angiuli, consegnò al medico Carlo Maggi, presidente della Congregazione di Carità, la somma pattuita di £ 20.000.



Pianta del convento, geom. O. Patruno, 1963 (APFMCP)

Negli anni Trenta i frati, composta una vertenza con la Congregazione di Carità per i danni causati dal crollo di un loro muro a due vani dell’ospedale, tentarono più volte di acquistare anche la restante parte del convento e del giardino. Il 15 luglio 1935 fra Isaia da Triggiano  scriveva al provinciale, padre Zaccaria da Triggiano, di aver parlato con il presidente della Congregazione di Carità «per la compra del giardino e dei locali superiori all’ospedale. Per questi è stato negativo e ha dato una mezza speranza per avere una metà del giardino dell’ospedale» ed aggiungeva anche che, essendosi incontrato con Pasqualino Grasso, il quale si era mostrato disposto ad offrire un suolo per la costruzione del nuovo ospedale, avrebbe proposto anche questa soluzione, nella speranza, non realizzata, di risolvere la questione. Qualche anno dopo, nel 1938, il guardiano, fra Bernardo da Latiano , incoraggiato dal fatto che il podestà aveva «segretamente manifestato il suo pensiero di chiudere l’ospedale, che funziona pure da mendicicomio, inviando i ricoverati a Lecce», riproponeva al provinciale, Giuseppe da Francavilla Fontana,  il recupero dei locali adibiti ad ospedale offrendo la somma di £ 30.000, per giungere ad un massimo di £ 50.000, ma l’anno successivo, lo stesso podestà non accolse favorevolmente la richiesta da lui presentata «perché le esigenze dei servizi ai quali sono attualmente adibiti i locali del mendicicomio e dell’ospedale non consentono alcuna cessione».
L’inizio del secondo conflitto mondiale bloccò, evidentemente, ulteriori trattative e dopo aver respinto nel 1952, perché ritenuta esosa, «la proposta dell’ECA di vendere i locali e l’orto attiguo al convento al prezzo di £ 8.368.000, oltre all’acquisto a nostre spese del suolo per l’erigendo ospedale», solo nel 1968 i frati riusciranno ad acquisire gli altri locali, quando l’Ospedale civile e Casa di riposo di Campi Salentina cedettero a titolo di permuta alla Provincia delle Puglie dei cappuccini «l’immobile costituito da tre sgabuzzini e quattro vani di medie dimensioni già adibiti a magazzino, cucina e dispensa, nonché l’ingresso, refettorio e dormitorio dell’alloggio delle suore, il tutto a piano terra, sottostante ad altra proprietà della Provincia al primo piano». In cambio, i frati cedettero « l’immobile costituito da una terrazza che sviluppa una superficie di mq. 88, un vano uso refettorio, un corridoio a L e un vanetto uso cucina, il tutto a primo piano».